Figura chimerica rappresentante un'aquila a due teste, di cui l'una guarda il fianco destro, e l'altra il fianco sinistro dello scudo.
Sull'origine dell'aquila bicipite fu discusso assai da tutti gli araldisti ed eruditi italiani e stranieri.
E primieramente il Cassaneo, sostiene averla scelta ad insegna Giulio Cesare, dopo che un' aquila, posatasi sul suo elmo, uccise due corvi che la molestavano dalle due bande; aggiunge che quest' avventura è riferita da Svetonio nelle Vite dei Dodici Cesari, e che gl'Imperatori Romani ereditarono quest'emblema come segno della loro dignità.
Ma Svetonio, narra che questo fatto avvenne ad Ottaviano Augusto e non a Giulio Cesare, e che l’aquila si posa sulla sua tenda, non già sul suo capo, e non parla di aquile bicipiti prese per insegne dagli Imperatori Romani.
Inoltre a confutare siffatta osservazione, basta quel poco che ne scrisse il Manin.
Meno inverosimilmente si attribuisce l'invenzione dell'aquila bicipite a Costantino, che l’avrebbe assunta, allorchè nel 325 dell' era volgare, trasferì la sede dell'imperio da Roma a Bisanzio, volendo mediante quel simbolo dimostrare che egli teneva sotto la stessa corona un impero che aveva due capitali.
Tale credenza passò in tradizione, e questa è appoggiata dall' Ariosto che nel suo Orlando Furioso rapporta le insegne di Leone Cazaro figlio dell'Imperatore Costantino IV Copron.
E per parer Leon le sopraveste;
Che dinanzi ebbe Leon, s' ha messe in desso;
E l'aquila de l'or con le due teste;
Porta dipinta nello scudo rosso