Quando sento dire da qualcuno: “non ci tengo ad essere cavaliere”, mi torna sempre in mente la favola della volpe e dell’uva (1) con la citazione latina “nondum matura est, noli acerbam sumere”, ma allo stesso tempo anche la adamantina figura del Cav. Gr. Cr. Ettore (2) Berardi, noto sarto di fama nazionale, e (nonostante fosse per nascita pugliese) promotore del Monferrato nel mondo. Questo mitico personaggio era il segretario di un’associazione che raccoglieva gli appartenenti dell’OMRI, ma che era dedicata ai Cavalieri del Lavoro Giovanni e Luigi Cerutti, noti esponenti del mondo industriale e fondatori delle Officine Meccaniche Giovanni Cerutti di Casale Monferrato. Ettore Berardi amava ricordare con orgoglio di avere raggiunto il più elevato grado dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, unico allora nella provincia di Alessandria. Considerando il più grande onore per un italiano l’ottenimento dell’OMRI, proprio per questa ragione amava segnalare persone meritorie affinché potessero ricevere come premio della loro vita di lavoro il titolo di cavaliere, ed era così solerte nello svolgere questo ruolo che sapeva bene valutare i meriti di ciascuno, tanto da effettuare anche le segnalazioni per gli avanzamenti nei vari gradi. Da sempre le concessioni nell’OMRI sono state suggerite dal rispetto della serietà e del merito, ma dobbiamo considerare che negli anni 70-80 avvenivano in maggior quantità a causa di un maggior numero di posti disponibili. Ettore Berardi che seppe eccellere nella sua arte partendo da condizioni modeste ed intrattenne rapporti di conoscenza ed amicizia con personalità internazionali, avrebbe potuto facilmente ottenere anche le più svariate onorificenze che premiassero una vita di lavoro e di merito, ma per lui l’unico Ordine che godesse prestigio e che lecitamente potesse usare l’appellativo di cavaliere era proprio l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, e non c’era nessuna possibilità di fargli capire che tutti gli Ordini hanno la loro particolarità e il loro specifico significato. Ricordo le cerimonie annuali che organizzava per far consegnare dalle autorità dello Stato i diplomi di nomina alle persone che lui aveva segnalato, ed in quelle feste si constatava davvero il significato che ha un ordine di merito quando vuole premiare l’eccezionalità della persona che ha svolto bene il suo lavoro nella società. Nel nostro tempo il significato di “essere cavaliere” è mutato passando attraverso i secoli dal concetto di combattimento militare da parte di religiosi in Terra Santa (senza dimenticare le varie evoluzioni che si sono avute in epoca successiva quando ogni Ordine Cavalleresco aveva la sua specializzazione), al valore di premio individuale riferito a determinati atti civili. Per questa ragione figure come Berardi, che facevano segnalazioni a personalità che poi proponevano alla Presidenza del Consiglio dei Ministri quanti ritenevano meritevoli, erano utili a far conoscere quelle persone che pur avendo i meriti non avevano la capacità di far arrivare a chi di dovere la giusta proposta. Oggi generalmente sono varie associazioni che svolgono questa meritoria attività, prima fra tutti l’Associazione Insigniti Onorificenze Cavalleresche, che attraverso la sua Delegazione d’Italia ogni anno vede concretizzarsi le sue segnalazioni con l’ottenimento dell’onorificenza. Ritengo che l’onestà, la serietà, la professionalità, l’altruismo e l’abnegazione nel lavoro, siano quelle doti che meritano la giusta premiazione del sacrificio. Sebbene l’essere cavaliere potrebbe ridursi per un prammatico al semplice ottenimento di un foglio di carta, unito all’uso di una medaglia, di una miniatura oppure di una rosetta sul bavero della giacca, nella realtà della nostra cultura è qualcosa di molto più profondo che affonda le sue radici nel Medioevo col potere di affascinare generazioni di uomini attraverso la sola lettura delle leggende arturiane, o della storia delle Crociate, e rappresenta certo la parte più nobile del nostro animo: pertanto non credo proprio che possano esistere persone che avendo ricevuto la nostra stessa formazione culturale si sentano anche di affermare in tutta onestà: “non ci tengo ad essere cavaliere”...
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martes, diciembre 20, 2011
Il più alto onore: essere un Cavaliere
Quando sento dire da qualcuno: “non ci tengo ad essere cavaliere”, mi torna sempre in mente la favola della volpe e dell’uva (1) con la citazione latina “nondum matura est, noli acerbam sumere”, ma allo stesso tempo anche la adamantina figura del Cav. Gr. Cr. Ettore (2) Berardi, noto sarto di fama nazionale, e (nonostante fosse per nascita pugliese) promotore del Monferrato nel mondo. Questo mitico personaggio era il segretario di un’associazione che raccoglieva gli appartenenti dell’OMRI, ma che era dedicata ai Cavalieri del Lavoro Giovanni e Luigi Cerutti, noti esponenti del mondo industriale e fondatori delle Officine Meccaniche Giovanni Cerutti di Casale Monferrato. Ettore Berardi amava ricordare con orgoglio di avere raggiunto il più elevato grado dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, unico allora nella provincia di Alessandria. Considerando il più grande onore per un italiano l’ottenimento dell’OMRI, proprio per questa ragione amava segnalare persone meritorie affinché potessero ricevere come premio della loro vita di lavoro il titolo di cavaliere, ed era così solerte nello svolgere questo ruolo che sapeva bene valutare i meriti di ciascuno, tanto da effettuare anche le segnalazioni per gli avanzamenti nei vari gradi. Da sempre le concessioni nell’OMRI sono state suggerite dal rispetto della serietà e del merito, ma dobbiamo considerare che negli anni 70-80 avvenivano in maggior quantità a causa di un maggior numero di posti disponibili. Ettore Berardi che seppe eccellere nella sua arte partendo da condizioni modeste ed intrattenne rapporti di conoscenza ed amicizia con personalità internazionali, avrebbe potuto facilmente ottenere anche le più svariate onorificenze che premiassero una vita di lavoro e di merito, ma per lui l’unico Ordine che godesse prestigio e che lecitamente potesse usare l’appellativo di cavaliere era proprio l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, e non c’era nessuna possibilità di fargli capire che tutti gli Ordini hanno la loro particolarità e il loro specifico significato. Ricordo le cerimonie annuali che organizzava per far consegnare dalle autorità dello Stato i diplomi di nomina alle persone che lui aveva segnalato, ed in quelle feste si constatava davvero il significato che ha un ordine di merito quando vuole premiare l’eccezionalità della persona che ha svolto bene il suo lavoro nella società. Nel nostro tempo il significato di “essere cavaliere” è mutato passando attraverso i secoli dal concetto di combattimento militare da parte di religiosi in Terra Santa (senza dimenticare le varie evoluzioni che si sono avute in epoca successiva quando ogni Ordine Cavalleresco aveva la sua specializzazione), al valore di premio individuale riferito a determinati atti civili. Per questa ragione figure come Berardi, che facevano segnalazioni a personalità che poi proponevano alla Presidenza del Consiglio dei Ministri quanti ritenevano meritevoli, erano utili a far conoscere quelle persone che pur avendo i meriti non avevano la capacità di far arrivare a chi di dovere la giusta proposta. Oggi generalmente sono varie associazioni che svolgono questa meritoria attività, prima fra tutti l’Associazione Insigniti Onorificenze Cavalleresche, che attraverso la sua Delegazione d’Italia ogni anno vede concretizzarsi le sue segnalazioni con l’ottenimento dell’onorificenza. Ritengo che l’onestà, la serietà, la professionalità, l’altruismo e l’abnegazione nel lavoro, siano quelle doti che meritano la giusta premiazione del sacrificio. Sebbene l’essere cavaliere potrebbe ridursi per un prammatico al semplice ottenimento di un foglio di carta, unito all’uso di una medaglia, di una miniatura oppure di una rosetta sul bavero della giacca, nella realtà della nostra cultura è qualcosa di molto più profondo che affonda le sue radici nel Medioevo col potere di affascinare generazioni di uomini attraverso la sola lettura delle leggende arturiane, o della storia delle Crociate, e rappresenta certo la parte più nobile del nostro animo: pertanto non credo proprio che possano esistere persone che avendo ricevuto la nostra stessa formazione culturale si sentano anche di affermare in tutta onestà: “non ci tengo ad essere cavaliere”...