Vi ricordo che i Voi che rinunciaste il vostro á propria volontà in una certa maniera ed altro che per la salvazione delle anime militate; servendo il Re Supremo con cavalli ed armi, procurate universalmente con pio e sigaro affetto sentire i maitines e tutto il Mestiere intero, secondo la canonica istituzione ed abitudini dei dotti regolari della Santa Chiesa di Gerusalemme; e per quel motivo, oh venerabili fratelli! Á voi molto in questione vi tocca, dato che, avendo disprezzato al mondo ed i tormenti dei vostri corpi, prometteste avere in poco al mondo per l'amore di Dio, ed assiale rifocillati e sazi col divino manicaretto, istruiti e firma nei precetti del Sig., dopo avere consumato e concluso il mistero divino, nessuno tema la lite, bensì sia preparato per la corona.
II
Che dicano i discorsi domenicali se non pudieren assistere
á sentire il Mestiere Divino.
Altro di questo, se qualche fratello fosse distante o remoto in commercio della Cristianità orientale che succederà molte volte, e per tale assenza non oyere il Mestiere divino, per i Maitines dirà 13 Pater Noster, o sia discorsi domenicali, e per ognuna delle ore minori 7, e per le Vigilie 9, dato che questi occupati in tanto salutare lavoro non possono accorrere á ora competente al Mestiere Divino, ma se pudieren che lo facciano á le ore indicate.
III
Quello che bisogna fare per i fratelli defunti.
Quando alcuno dei fratelli morisse che la morte á nessuno perdona né scappa da lei, comandiamo che coi chierici e cappellani che servono á Dio, Sommo Sacerdote, caritatevolmente con essi offriate con purezza di coraggio il Mestiere e messa solenne á Gesù Cristo per la sua anima, ed i fratelli che lì estuviereis pernottando in discorso per l'anima di detto defunto, pregherete 100 Pater Noster fino al Giorno settimo, i quali devono contare dal Giorno della morte, o che si sapesse, con fraterna osservanza, perché il numero sette è numero di perfezione.
Ed ancora vi supplichiamo con divina carità e vi comandiamo con pastorale autorità che, come ogni Giorno gli ero dato nostro á fratello la cosa necessaria per mangiare e sostentare la vita che questo stesso gli sia dato così in cibo ed avvinazzato á un povero fino ai quaranta giorni, e tutte le altre oblazioni che si abituano fare per detti fratelli, nella morte di alcuno di essi come in solennità di Pasque, indistintamente del tutto li proibiamo.
IV
Solamente i cappellani abbiano cibo e vestito.
Facciamo dare le altre oblazioni ed elemosine di chiunque forma che si facciano, á i cappellani á altri che stanno per tempo nell'unità comune del Consiglio comunale, per la sua vigilanza ed attenzione, e cosicché tanto solamente i servitori della chiesa abbiano, secondo l'autorità, cibo e vestito e nient'altro, bensì quello che cristianamente essi diere della sua volontà il Gran maestro.
V
Dei soldati defunti che assistono con essi.
Ci sono anche soldati nella Casa di Dio e Tempio di Salomone vivendo con noi, per cui vi supplichiamo e con fiducia vi comandiamo con ineffabile commiserazione che se alcuno di questi muriere, gli sia dato á un povero per sette giorni di mangiare, per la sua anima, con divino amore e fraterna pietà.
VIDI
Che nessun fratello che rimane faccia oblazione.
Determiniamo, come si disse sopra che nessuno dei fratelli che rimangono presuma fare oblazione, ma rimanga di Giorno e notte nella sua professione con pulito cuore, affinché in questo possa uguagliarsi col più saggio dei Profeti che diceva nel salmo 115: "Riceverò il calice del signore é imiterò nella mia morte la morte del Sig."; perché come Cristo mise per mio la sua anima, io sto così presto á metterla per i miei fratelli: vedete qui una competente oblazione ed ostia viva di piacere á Dio.
VII
Della cosa smodata di stare in pigolai.
C'avendo detto una vera testimone che sentite il Mestiere divino in pigolai smodatamente, comandiamo non lo facciate, prima lo vituperiamo, ma concluso il salmo: Venite, exultemus Domíno, con l'invitatorio é inno, tutti vi sediate, così i deboli come i forti, e ve lo comandiamo per evitare lo scandalo, e stando seduto vi alziate solo dicendo Gloria Patri, concluso il salmo, supplicando rovesciati all'altare, abbassando la testa per riverenza á la Sacra Trinidad famosa; e á i deboli rozza che facciano l'inclinazione senza alzarsi; fino al Benedicamus Domíno starete in pigolai, e á i Maitines di Nostra Sig.ra.
VIII
Del cibo in refettorio.
Crediamo che mangiaste in refettorio; quando alcuno cosa vi mancasse ed infittendo necessità di lei, se non poteste chiederla per segni, la chiediate silenziosamente; e così purché si chieda qualcosa stando nel tavolo, deve essere con umiltà, obbedienza e silenzio, come dice l'Apostolo: "Mangia il tuo pane con silenzio", ed il Salmista deve incoraggiarvi dicendo: "Misi á la mia bocca custodisce o silenzio che vuole dire: Deliberai il non parlare, e conservi la mia bocca per non parlare male."
IX
Della lettura o lezione quando si mangia.
Purché si mangi e ceni si legga la sacra lezione; se amiamo á Dio dobbiamo desiderare sentire i suoi sacri precetti e parole, e così il lettore sta indicando silenzio.
X
Del mangiare carne nella settimana.
Nella settimana, bensì è nel Giorno di Pasqua di Natale o Resurrezione o festività di Nostra Sig.ra o di Tutti Santi che succedano, rozza mangiarla in tre volte o giorni, perché l'abitudine di mangiarla si capisce è corruzione dei corpi. Se il martedì fuere di digiuno, il mercoledì vi dia in abbondanza.
Nella domenica, così á i cavalieri come á i cappellani sia dato loro senza dubbio due manicaretti in onore della Santa Resurrezione, gli altri domestici si accontentino con uno, e diano grazie á Dio.
XI
Come devono mangiare i cavalieri.
Conviene generalmente mangino di due in due affinché con attenzione si provvedano alcuni di altri, affinché l'asprezza di vita ed astinenza in tutto si mischi, e giudichiamo giusto che á ognuno di detti cavalieri siano dati loro separatamente uguali porzioni di vino.
XII
Che gli altri giorni rozza dare due o tre piatti di legumi.
Negli altri giorni, come sono lunedì, mercoledì e sabato, rozza dare due o tre manicaretti di legumi ú un'altra cosa cotta, affinché quello che non mangia di uno virgola di un altro.
XIII
Che conviene mangiare i venerdì.
Il venerdì rozza mangiare di cibo di Quaresima á tutta la congregazione per la riverenza dovuto á la Passione, eccetto i malati e deboli, e da Tutti Santi fino a Pasqua, se non è nel Giorno della nascita del Sig., o venendo festività di Nostra Sig.ra, o Apostoli, lodiamo al che non la comiere nell'altro tempo, se non viniere Giorno di digiuno la mangino due volte.
XIV
Dopo avere mangiato che dìano grazie á Dio.
Dopo avere mangiato e cenare, se la chiesa sta vicino, e bensì nello stesso posto, diano grazie á Dio che è il nostro Procuratore, con umile cuore, e così lo comandiamo, e á i poveri comandiamo siano dati loro i frammenti e che si guardino i pani interi.
XV
Che la decima del pane sia dato al mendicante.
Benché il premio della povertà sia il regno dei cieli, e senza dubbio essere dovutogli á i poveri, comandiamo á voi dare ogni giorni al mendicante il decimo di tutto il pane.
XVI
Che il conferimento stia all'arbitrato del Gran maestro.
Si essendo messo il sole, andate al segno o la campana secondo l'abitudine, conviene che tutti vadano á Completi, avendo fatto prima conferimento, la quale mettiamo nell'arbitrato del Gran maestro, quando quisiere si dia di acqua, e cognato usi povertà, venne temperato, o annacquato, e quello non ferma stufarsi, bensì con parsimonia, perché molte volte vediamo fino ai saggi mancare in questo.
XVII
Che concluse le Complete si guardi silenzio.
Concluse le Complete conviene andare ognuno á la sua stanza, e á detti fratelli non essere dato loro licenza di parlare in pubblico, bensì è in urgente necessità, e quello che Lei hubiere di dire, dice Lei a voce bassa e secerne. Può succedere, essendo uscito di Complete sollecitando la necessità che convenga parlare di qualche commercio militare o circa lo stato della Casa allo stesso Gran maestro ú allora un altro che faccia le sue volte con una certa parte dai fratelli, si faccia; fosse non di questo, dunque, come consta del cap. 10 dei Proverbi "il parlare molto non fugge di peccato", e nel 12 dice "che la morte e la vita stanno nella lingua", ed in quello che mi parlerò, del tutto proibiamo parole oziose e chanceras che muovono á risata; andando via á coricare facciamo dire il discorso domenicale o Pater Noster, e se alcuno cosa si parlò stupidamente si dica con umiltà e devozione pura.
XVIII
Che quelli che fossero stanchi non si alzino á Maitines.
Lodiamo che i cavalieri stanchi e stanchi che consterò starlo, non si alzino á Maitines, ma con licenza del Gran maestro o del che stesse nel suo posto, riposino e dicano e cantino le tredici discorso domenicali o Pater Noster, come è detto, in modo che il pensiero accompagni á la voce secondo quello del Profeta: "Cantate saggiamente" al signore, e quello ti canterò "in presenza degli angeli." Questo deve lasciarsi sempre all'arbitrato del Gran maestro.
XIX
Che la comunità del cibo si guardi tra i fratelli.
Si legge nelle divine lettere: "che si divideva á ognuno come c'era necessità", e pertanto non diciamo che ci sia eccezione di persone, ma deve avere considerazione di malata, e così quello che meno necessità ha, ringrazi á dio, e non si rattristi, e quello che ha bisogno umilia Lei, e non chieda per la povertà, e così tutti staranno in pace, e questo proibiamo perché á nessuno gli sia liccio abbracciare smodata astinenza, bensì abbiano con fermezza la vita comune.
XX
Della qualità del vestito e del suo modo.
Comandiamo che il vestito sia sempre di un stesso colore, bersaglio o nero; e concediamo á i cavalieri nell'inverno o stagione estiva abbigliamento bianco, se può essere, perché poiché portano vita nera e tenebrosa, si riconcilino col suo Allevatore per la bianco. Che cosa è la bianchezza bensì un'intera castità? La castità in sicurezza del pensiero e sanità del corpo; e se un soldato non preserverò casto non può vedere á Dio, né godere del suo riposo; affermandolo S. Pablo; "Seguite la pace con tutti, e la castità, senza la quale non si vedrà Dio." E questo vestito di superfluità ed arroganza non deve avere la vostra stima; e così lo comandiamo a tutti avere, affinché suolo delicatamente possa vestirsi e denudarsi. Il procuratore di questo ministero con vigilante curato procuri che detti vestiti non stiano né brevi né lunghi, bensì è con misura á quelli che li vestono ed usano, e così lo dia á detti fratelli secondo la sua quantità, ed in ricevendo i nuovo, consegnino puntualmente i vecchi per metterli nella stanza che il fratello á che tocca questo mistero determinerò, per i novizi e poveri.
XXI
Che i fámulos non porti abbigliamento bianco, questa è cappa.
Contraddiciamo fermamente questo che succedeva nella casa del Sig. e dei suoi soldati della Tempera senza discrezione né consenso del comune consiglio comunale, e lo facciamo togliere del tutto, come se fosse un particolare vizio.
Avevano in un altro tempo i fámulos e domestici armígeros vestiti bianchi, di dove venivano insopportabili danni, perché delle parti ultramarine si alzarono certi falsi fratelli, sposati ed altri, dicendo che erano della Tempera, essendo del mondo, di dove risultarono tanti danni, tanto contumelias all'ordine militare, ed i detti causarono molti scandali; e così portino i detti fámulos della Tempera vestiti neri, e se non potessero trovare, portino quelli che potessero aversi nella provincia dove estuvieren, o di quello colore più basso che Lei pudiere trovare, conviene á sapere, burella.
XXII
Che i cavalieri che tanto solamente hubiere porti vestiti bianchi.
A nessuno è concesso portare vestiti bianchi o cappe candide, bensì è á i detti soldati di Cristo famosi.
XXIII
Che usino pelli di montoni o agnellini.
Determiniamo di comune consiglio che nessun fratello abbia perpetuamente pelli, ú un'altra cosa tale che appartenga all'uso del suo corpo, benché sia coopertorio, bensì è di montone o agnellino.
XXIV
Che i paramenti vecchi si dividano e ripartano tra gli armígeros
e fratelli domestici.
Che il procuratore dei panni o abbigliamenti riparta ugualmente i vecchi tra gli armígeros e domestici, e á volte tra i poveri con fedeltà.
XXV
Che a quello che desidera il migliore vestito gli sia dato peggio il.
Se qualche fratello quisiere, o già per cernia o per superbia, senza dubbio il migliore vestito, meriterà peggio il.
XXVI
Che si guardi la cuantidad e qualità dai vestiti.
Che la cosa molto dei vestiti sia secondo i corpi di ognuno e la cosa larga anche, e sia in questo curioso il procuratore.
XXVII
Che il procuratore dei panni o vestiti osservi uguaglianza.
Che detto procuratore conservi uguaglianza nella longitudine e misura, perché nessuno dei criminosi e malcontenti lo veda o noti, e così lo guardi tutto con fraterno affetto che avrà la retribuzione di Dio.
XXVIII
Della superfluità dei capelli o capello.
Tutti i fratelli conviene abbiano tagliato i capelli davanti e di dietro con quanta regolarità possano, osservandosi la stessa cosa nella barba e chiome, perché la superfluità non denoti vizio nel viso.
XXIX
Dei rostrillos e lacci.
Che i rostrillos e lacci è cosa dei gentile, e comos sia abominevole á tutti, lo proibiamo e contraddiciamo, affinché nessuno li abbia, prima non li abbia; á gli altri domestici che neanche estuvieren per tempo permette abbia né capelli superflua né smodata lunghezza nel vestito, prima bene lo contraddiciamo. Quelli che servono á Dio è necessario siano puliti nella cosa interna e nella cosa esterna; perché così l'afferma il Sig.: "Sete puliti, perché io lo sono."
XXX
Del numero di cavalli ed armígeros.
A chiunque di detti soldati è loro liccio avere tre cavalli, perché l'esimia povertà della casa di Dio e del Tempio di Salomone non permette più al presente, bensì è con licenza del Gran maestro.
XXXI
Che nessun cavaliere punisca á il suo armigero che lo serve gratis.
Solo si concede á ogni saldato un armigero, e se questo sirviere di grazia o carità, non è liccio punirlo o per qualunque colpa ferirlo.
XXXII
Come devono ricevere i cavalieri.
Comandiamo á tutti i cavalieri che desiderano servire á Dio con purezza di coraggio ed in una stessa casa per tempo che comprino cavallo ed armi sufficienti per il servizio quotidiano, e tutto quello che fuere necessario; ed oltre a questo giudichiamo per buono ed utile quello che si apprezzino detti cavalli per entrambi i parte, conservata uguaglianza; quello che si tenga per iscritto affinché non si dimentichi, e tutto quello che avrò bisogno di detto cavaliere per sé ed il cavallo o armigero, glielo dia detta casa con fraterna carità; e se al cavaliere per qualunque incidente Lei egli muriere il cavallo in questo servizio, il Gran maestro che ha il comando e redditi della casa gli darà un altro, ed in venendo il tempo da girare á la sua patria, darà la metà del prezzo di quello che costò il cavallo che gli fu dato, e l'altra metà la metterà nel comune dei fratelli se il cavaliere quisiere.
XXXIII
Che nessuno cammini secondo la sua propria volontà.
Conviene così á detti cavalieri per il servizio che professarono come per la gloria di prosperità, o paura dell'inferno che abbiano obbedienza perpetua al Gran maestro, o nel suo difetto al Priore Generale. Deve osservare quello che fuere comandato per il Gran maestro, o per altro che faccia le sue volte, e deve eseguire senza ritardo, come se Dio lo comandasse, non c'essendo dilazione in eseguirlo, e di questi dice il salmo XVII: "Quindi che lo sentisti, obbedisti" a me.
XXXIV
Se sia liccio camminare per il posto o cittadina senza licenza del Gran maestro.
Per la stessa cosa comandiamo e fermamente incarichiamo á i cavalieri conventuali che lasciano la sua propria volontà, e á gli altri che servono per tempo che, senza licenza del Gran maestro, ú un altro che stia nel suo posto, non presumano uscire dalla città, bensì è di notte al Sacro Sepolcro e stazioni che stanno dentro i muri della sacra città.
XXXV
Se sia loro liccio camminare soli.
Ma questi stando così, non senza compagno o cavaliere osino á camminare né di giorno né di notte, e nell'esercito dopo che fossero ospitati, nessun cavaliere o armigero, ú un altro, cammini per i pati di altri cavalieri, col motivo di verta e parlarsi senza licenza, come approda si disse. E consigliamo che in tale casa come ordinata per Dio nessuno militi in lei, né riposi, bensì è secondo il mandato del Gran maestro, á che spetta affinché imiti la sentenza del Sig.: "Non venni á fare la mia volontà, bensì quella di quello che mi inviò." (S. Juan) V.
XXXVI
Che nessuno per il suo nome chieda quello che necessiti.
Facciamo scrivere questa abitudine tra le altre e con ogni considerazione la comandiamo che obblighi per il vizio di chiedere, perché nessun fratello señaladamente, e per il suo nome, deve cercare il cavallo o armi; perché come? Se la sua malattia o debolezza dei suoi cavalli o il peso delle sue armi si conosce essere tale che nel camminare così sia danno comune, venga al Gran maestro o á un altro che faccia la sua volta, gli dimostri la causa con vera e pura fede, e che stia nella disposizione del Gran maestro la cosa e la determinazione.
XXXVII
Dei freni e speroni.
In nessun modo vogliamo sia liccio á nessun fratello comprare né portare oro o argento che sono valute particolari, nei freni, pettorali, staffe, e speroni, ma se queste cose egli fueren dato di carità e questi strumenti usati, al tale oro o argento gli sia dato tale colore che non sembri e riluca tanto splendidamente che sembri arroganza; se fossero nuovi i detti strumenti, faccia il Gran maestro di essi quello che quisiere.
XXXVIII
Non portino coperto nelle aste o lance o scudi.
Non si tenga coperto nelle aste, scudi, e nelle lance, perché capiamo che non sfrutta, bensì danneggia.
XXXIX
Della licenza del Gran maestro.
È liccio al Gran maestro dare cavalli á chiunque o armi ú altro qualunque cosa.
XL
Del sacco e della valigia.
Tiro fuori e valigia con chiave non si concedono, e si esporsi di tale fortuna che non si tengano senza licenza del Gran maestro, o del che stia nel suo posto. In questo capitolo non si aggiungono i procuratori né il Gran maestro né quelli che abitano in altre province.
XLI
Delle lettere missive.
Di nessuna fortuna sia liccio scrivere chiunque dei fratelli á i genitori, né á qualsiasi altro senza licenza del Gran maestro o Procuratore, e dopo che il fratello avesse licenza, in presenza del Gran maestro, se gli piace, si leggano; se i genitori gli diressero alcuno cosa, non presuma riceverla, bensì fuere mostrandola al Gran maestro. In questo capitolo non si contengono il Procuratore ed il Gran maestro.
XLII
Della confabulazione delle proprie colpe.
Come ogni parola oziosa sia peccata, dei che si vantino di esse senza essere prima il suo giudice, dice certamente il Profeta, se delle buone opere per la virtù della taciturnità dobbiamo tacere, quanto più delle brutte parole per la pena del peccato; proibiamo e contraddiciamo che nessun fratello dica le sciocchezze che fece nel secolo o nel miliare servizio, od osi contare i diletti che ebbe con le miserabili donne, á suo fratello o á un altro alcuno, e sì i sentisse riferire á altri, ammutolisca, e quanto prima possa col motivo di obbedienza si allontani, e non mostri il suo cuore o compiacenza o gusto al che le dijere.
XLIII
Del risultato o guadagno, o accezione.
Se alcuno cosa, senza risultato, fuere di grazia dato á qualche fratello, la porta al Gran maestro; se al contrario, il suo amico o padre non vuole darla bensì è á egli, non la riceva fino ad avere licenza del Gran maestro e se gli fosse dato á altro non gli pesi, ed abbia per certo che se gli pesa offende a Dio. In questa regola non si contengono gli Amministratori, á i quali è concesso specialmente questo ministero di valigia e sacco.
XLIV
Delle cebaderas o sacche per mangiare i cavalli.
Utensile è á tutti che stiano obbligato á questo mandato; nessun fratello presuma fare sacche di lino o lana.
XLV
Che nessuno osi á cambiare e cercare un'altra cosa.
Non rimane un'altra cosa bensì è che nessuno presuma di cambiare suo cosa fratello con fratello senza licenza il Gran maestro, e cercare cosa alcuna bensì sia fratello per fratello ed essendo il cosa mucchio.
XLVI
Che nessuno cacci uccello con uccello.
Noi determiniamo generalmente che nessuno osi á prendere uccello con uccello; non conviene á la Religione arrivarsi di tale fortuna á i mondani diletti, bensì sentire volentieri i precetti del Sig., e frequentemente pregare e confessare á Dio le sue colpe nel discorso con lacrime e gemiti, nessun fratello presuma andare per questa causa con uomo che caccia con sparviero ú un altro uccello.
XLVII
Che nessuno ferisca á feroce con arco o balestra.
Conviene andare e seguire semplicemente á ogni Religione e senza risata, umilmente e non parlare molto, bensì la cosa ragionevole e non con clamorosa voce; specialmente comandiamo á ogni fratello professo non osi á ferire con arco o balestra nel bosco, né che col questo hiciere vada, bensì è per conservarlo di qualcosa perfido gentile, né con cani sia audace á dare voci né chiedere, né punga á il suo cavallo con incoraggio di prendere la fiera.
XLVIII
Che al leone ferisca sempre.
Perché è un certo quello che dovete specialmente, e vi è avuti incaricato il mettere le vostre anime per quelle dei vostri fratelli ed estirpare della terra á gli increduli che minacciano sempre il figlio della Vergine, perché del leone leggiamo la cosa seguente: "perché egli continua circuendo, cercando á chi divorare", ed in un'altra parte; le "sue mani contro tutti e quelli di tutti contro lui."
XLIX
Che ogni cosa che circa voi vi sia chiesto si senta in giudizio.
Sappiamo che i persecutori della sacra Chiesa sono innumerabili e non cessano di inquietare nonostante á quelli che non vogliono contese con essi, e così se alcuno di questi nelle religioni orientali o in un'altra parte vi domanderò alcuno cosa circa voi, ve li facciamo sentire con giudizio per fedele e giudici, e quello che fuere giusto vi comanda eseguiate puntualmente.
L
Che questa regola si tenga in tutte le cose.
Questa stessa regola comandiamo si tenga in tutte le cose che ingiustamente vi siano stati tolti.
LI
Che sia liccio á tutti i cavalieri profesos avere terre ed uomini.
Crediamo per divina provvidenza che questo nuovo genere di Religione avesse principio in questi Sacri Posti affinché Lei misturara la religione con la milizia e la Religione proceda armata con la milizia e ferisca il nemico senza colpa; giudichiamo secondo diritto che come vi chiamate cavalieri della Tempera, possiate avere per questo insigne merito e bontà terre, sposa, uomini ed agricoltori, e giustamente governarli pagandoloro quello che ganaren.
LII
Che si faccia gran attenzione con la quale fosse malati.
Essendo malati i fratelli deve avere somma attenzione e servirli come á Cristo secondo il Vangelo: "Fui malato e mi visitaste." Questi devono portare con pazienza, perché di questo ci sarà dato celestiale retribuzione.
LIII
Che á i malati sia dato loro tutta la cosa necessaria.
Comandiamo á i Procuratori dei malati che á questi essere datoloro tutta la cosa necessaria per il sostentamento delle malattie secondo le facoltà della casa, v. gr. Carni, uccelli..., fino a che siano buoni.
LIV
Che alcuni á altri non si provochino á ira.
Conviene fuggire molto che non si provochino alcuni á altre á ira, perché nella propincuidad e la divina fratellanza tanto á i poveri come á i ricchi con somma clemenza ci legò Dio.
LV
Di che modo si tengano o ricevano i fratelli sposati.
Vi permettiamo di avere in questo modo fratelli sposati che se chiedono il beneficio e partecipazione della vostra fratellanza, la porzione della sua tenuta che tuvieren ambedue e l'altro che adquirieren, gli concedano á l'unità comune di quello capitolo dopo la morte, e tra tanto facciano onesta vita, e cerchino di fare bene á i fratelli, ma non portino paramento bianco; se il marito muriere prima, lasci á i fratelli la sua parte, e l'altra rimanga per il sostentamento della donna. Questo consideriamo ingiusto che avendo promesso le fratelli castità á Dio che simili fratelli rimangano in una stessa casa.
LVI
Che non abbiano fratelli nella sua compagnia.
È cosa pericolosa avere con sé i fratelli, perché l'antico nemico á molti ha separato del retto verso il paradiso per giunta con donne; e così, fratelli cari, ed affinché sempre il fiore della castità rimanga tra voi, non è liccio usare questa abitudine.
LVII
Che i fratelli della Tempera non comunichino con scomunicati.
Fratelli, in gran maniera deve temere e fuggire che nessuno dei cavalieri di Cristo presuma unirsi con scomunicato nominatim o pubblico, o ricevere le sue tenute perché non sia scomunicato; se solo fuere interdetto, sarà non liccio senza ragione particolare unirsi con lui, e ricevere caritatevolmente la sua tenuta.
LVIII
Perché si ricevano cavalieri secolari.
Se qualche cavaliere ú un altro laico volendo fuggire e rinunciare al mondo vuole scegliere la vostra compagnia, non si riceva dopo al punto, bensì secondo quello di san Pablo: "Provate lo spirito se è di Dio", e così provati essere concessoloro, e si legga nella sua presenza la Regola; allora se il Gran maestro o fratelli tuvieren á bene il riceverlo, chiamati i fratelli faccia palese il suo desiderio e petizione, ed altro di questo, il termine delle sue prove stia nella considerazione e provvidenza del Gran maestro secondo l'onestà della sua vita.
LIX
Che á i consigli segreti non si chiami á tutti i fratelli.
Non facciamo chiamare sempre á tutti i fratelli á consiglio, bensì á quelli che Lei conocieren provvidi é idonei: quando Lei trattasse di cose maggiori, come è il dare terre, o deliberare dell'Ordine o ricevere á alcuno, allora è competente chiamarli á tutti se al Gran maestro pluguiere, e sentiti i voti del comune Consiglio comunale, si faccia per il Gran maestro quello che più convenga.
LX
Con che silenzio devono pregare.
Fratelli, conviene pregare con l'affetto dell'anima e corpo pidiere, o seduto o in pigolai. Ma con somma riverenza, e non con clamori per che alcuni non turbino á altri; così lo comandiamo di comune consiglio.
LXI
Che credano á i domestici.
Abbiamo conosciuto che molti di molte province, così domestici come armígeros, desiderando per la salute delle anime manciparse nella nostra casa, è utile che li crediate, benché l'antico nemico li intimi indecentemente alcuno cosa nel servizio di Dio, affinché improvvisamente li separino e sradichino del buon proposito.
LXII
Che non si ricevano ragazzi, finché sono piccoli,
Tra i fratelli della Tempera.
Benché la Regola dei Sacri Genitori permetta di avere ragazzi nella congregazione, noi non lo lodiamo, e così i tali non vi carichiate. Quello che quisiere perpetuamente dare suo figlio o simile á la militare Religione, l'allevi fino agli anni in cui possano gettare virilmente i nemici di Cristo della Terra Santa, e dopo secondo la Regola, il padre o genitori lo portino e mettano in mezzo ai fratelli e facciano palese á tutte la sua petizione; meglio è non offrire nella puericia che dopo fatto uomo enormemente fuggire.
LXIII
Che venerino sempre gli anziano.
Conviene onorare con ogni curato á gli anziano con pia considerazione, sobrellevándolos secondo la sua magrezza, ed in nessun modo siano obbligati in queste cose che sono necessarie per il corpo con rigore, salvo l'autorità della Regola.
LXIV
Dei fratelli che sono ripartiti per tutte le province.
I fratelli che sono ripartiti per diverse province, cerchino di conservare la Regola, non appena le sue forze raggiungano, nel cibo e bibita ed altre cose, e che vivano senza che abbiano che corregírseles, affinché á tutti quelli che da fuori i vieren dia loro buon attestazione della sua vita, e non macchino il proposito della Religione né con fatto né con parola, ma á tutti quelli con chi Lei juntaren serva da esempio di saggezza e di buone opere, e di buon conoscenza di tutto, e á dove voglia che Lei hospedaren, siano decorato con buona fama, e se si può fare che nella casa dell'ospite non manchi nella notte luce, perché il tenebroso nemico motivi peccato, quello che Dio non permetta; e dove detto cavalieri oyeren si unisce non scomunicati, lì vadano. Non considerando tanto la temporanea utilità come la salute delle sue anime, lodiamo si riceva á fratelli nelle parti ultramarine diretti con la speranza di sovvenzione che volessero perpetuamente unirsi á detto militare Ordine, e così uno ú un altro sembri davanti al vescovo di quella provincia, ed il prelato senta la volontà della quale chiede, e così sentita la petizione, il fratello l'invii al Gran maestro e á i fratelli che assistono nella Tempera che sta a Gerusalemme; e se la sua vita misericordiosamente fuere onesto e degno di tale compagnia, si riceva, se al Gran maestro e fratelli sembri bene; se tra tanto morisse per il lavoro e fatica, come á uno dei fratelli gli sia applicato tutto il beneficio e fraternità dei poveri e commilitoni di Cristo.
LXV
Che il sostentamento si dia ugualmente á tutti.
Giudichiamo che deve osservare questo congrua e razionalmente affinché á tutti i fratelli sia dato loro ugualmente il sostentamento secondo la qualità del posto; non è utile l'accezione di persone, ma è necessaria la considerazione delle malattie.
LXVI
Che i cavalieri della Tempera abbiano decime.
E perché crediamo che lasciare le abbondanti ricchezze si sottomise á la volontaria povertà, per quel motivo permettiamo solo giustamente á voi avere decime, perché vivete nella vita comune di questa maniera. Se il Vescovo della Chiesa á che giustamente gli è dovuto i decimi ve li vuole dare caritatevolmente, devono essere dativi con consenso del Consiglio comunale. Se qualunque laico li mantiene colpevolmente nel suo patrimonio, ed arguyéndole la sua coscienza ve la lasciasse á la volontà di quella quale governa tanto solamente, può eseguire e fare questo senza consenso del Consiglio comunale.
LXVII
Delle leggi e grava colpe.
Se qualche fratello parlando o militando o di un'altra forma delinquiere in alcuno cosa lieve, egli stesso á la sua volontà mostri il suo delitto soddisfacendo il Gran maestro; dei lievi se non siano di abitudine, essere messoloro penitenza lieve; ma se egli la tacerò, e per un altro fosse conosciuta, si sottometta á maggiore correzione e punizione; se il delitto fuere grave, sia separata della familiarità dei fratelli, non mangi con essi á il tavolo, bensì suolo, e stia alla dispensación o giudizio del Gran maestro tutto, affinché rimanga salvo nel Giorno del giudizio.
LXVIII
Perché incolpa non si riceva più il fratello.
Davanti a tutte cose deve guardare che nessun fratello, ricco o povero, forte o debole, volendosi esaltare, e poco á poco ensoberbecerse e difendere la sua colpa, non rimanga senza punizione; e se non quisiere correggersi sia dato più grave correzione, e se con le pie ammonizioni e fatti discorsi per lui, non si corregge ancora, bensì sempre sempre di più Lei ensoberbeciere, allora sia cacciato del pio congresso, come dice l'Apostolo: "Separate tutta la cosa brutta di voi, è necessario che ogni pecora malata si lanci dalla compagnia dei fratelli fedeli." Ma il Gran maestro che deve avere il bastone e la bacchetta nella mano, il bastone con che mantenga e sostenti la magrezza degli altri, e la bacchetta con che punisca i vizi dei delinquenti con lo zelo della rettitudine, cerchi di fare questo col consiglio dal Patriarca e spirituale considerazione, perché, come dice San Massimo, la soavità non dia più scioltezza al peccatore, e la smodata soavità non allontani il delinquente dalla caduta.
LXIX
Che dalla solennità della Pasqua fino a Tutti Santi
deve mettere una sola camicia di tela.
Consideriamo con povertà per il troppo ardore della regione orientale che dalla solennità della Pasqua fino alla festività di Tutti Sacri á chiunque gli sia dato una camicia tanto solo di tela, non per precisione bensì per
grazia, á quello che quisiere usare ella, ma fosse di questo tempo generalmente abbiano tutti camicie di lana.
LXX
Che vestiti sia necessaria per il letto.
Con comune consiglio approviamo che ognuno dorma nel suo letto assolo e non di un'altra fortuna, á non intervenire torneo causa o necessità per il contrario. I vestiti del letto l'abbiano uno con moderato dispensación del Gran maestro, per quello che vogliamo basti á ognuno un pagliericcio, un lenzuolo ed una coperta, ma quello che non avesse alcuna di questi capi d'abbigliamento abbia una coperta, ed in ogni tempo gli sarà liccio usare un copriletto di tela. Dormano sempre con camicia e mutande, e stando dormendo i fratelli non manchi mai luce che illumini continuamente fino all'alba.
LXXI
Che si eviti la mormorazione.
Vi comandiamo anche che evitiate e fuggiate come peste per precetto divino le emulazioni, invidie, rancore, mormorazione, detrazione ed altra qualunque cosa di questi; procuri, dunque, ognuno con incoraggio vigilante non incolpare né rimproverare á suo fratello; prima bene con speciale studio noti il consiglio dell'Apostolo: "Non essere criminoso né pettegolo nel paese", ma se conociere chiaramente che suo fratello peccò in qualcosa, pacificamente e con pietà fraterna, secondo il precetto del Sig., lo rimproveri privatamente tra i due; e se non facesse caso, chiami á un altro fratello per lo stesso effetto, e se á ambedue i disprezzasse, sia rimproverato davanti a tutti pubblicamente nel convento, perché á la verità stanno in grande cecità quelli che mormorano di altri e sono molto infelici quelli che non si guardano dalla superbia, per quello che cadono in quell'antico peccato dal nemico comune.
LXXII
Che si evitino gli osculi delle donne.
Crediamo che sia pericoloso á ogni religioso riparare con inezia gli aspetti delle donne, e per la stessa cosa non sia audace gemello alcuno á oscular á vedova né á donzella. Fugga per questo stessi simili osculi la milizia di Cristo, per i quali sogliono frequentemente rischiare gli uomini, affinché con coscienza pura e perfetta vita riesca a godere perfettamente della vista del Sig.. - Amino.